quarto gusto
uva fragola
Inaugurazione, 02.10.2025, 18:00
03.10. – 23.11.2025
di Salvatore Lacagnina
La storia dell’orologio è inseparabile dalla storia della città e della vita sociale al di fuori delle campagne. Il ciclo del sole non era sufficiente. E non lo era neppure una misura del tempo approssimativa. Al matematico e scrittore Charles Lutwidge Dodgson (noto con lo pseudonimo di Lewis Carroll) si deve uno dei romanzi più noti della letteratura moderna, dove la misurazione e la percezione del tempo sono tra i protagonisti del racconto. È una storia che tutti conoscono, magari nella versione rassicurante di Disney. L’orologio del Cappellaio matto segna i giorni del mese e non le ore. Chi ha deciso che un orologio debba per forza segnare le ore?
Nel Paese delle Meraviglie sono sempre le sei del pomeriggio, l’ora del tè: la tavola è grande, ma non c’è tempo per lavare le tazze; bisogna scalare di posto per averne qualcuna pulita. Quella che potrebbe sembrare una prigionia è in realtà la capacità di cogliere il Tempo nella sua vera essenza: è statico, sempre uguale a sé stesso, ma sotto la spinta della fantasia e del desiderio può piegarsi al bisogno individuale. Nel Paese delle Meraviglie, il tempo esiste solo nella forma che ogni individuo decide di dargli: si può desiderare che arrivi presto l’ora del pranzo o che sia sempre l’ora del tè. L’unico personaggio che sembra sfuggire a questa totale libertà è il Coniglio Bianco.
Con il suo orologio nel panciotto si trova a essere perennemente in ritardo: vive una vita frenetica, sempre costretto a correre e a soffrire dell’assenza di regole che «governa» il Paese delle Meraviglie. Nel suo caso il Tempo si trova sempre a precederlo.
«Se tu conoscessi il tempo come lo conosco io, – rispose il Cappellaio, – non diresti che lo perdiamo. Domandaglielo.»
«Non comprendo che vuoi dire,» osservò Alice.
«Certo che non lo comprendi!» disse il Cappellaio, scotendo il capo con aria di disprezzo «Scommetto che tu non hai mai parlato col tempo.»
«Forse no, – rispose prudentemente Alice; – ma so che debbo battere il tempo quando studio la musica.»
«Ahi, adesso si spiega, – disse il Cappellaio. – Il tempo non vuol esser battuto. Se tu fossi in buone relazioni con lui, farebbe dell'orologio ciò che tu vuoi.»
Il paradosso del Cappellaio fa venire in mente la famosa risposta di Miles Davis, provocato da un maldestro intervistatore, che gli domanda della presunta superiorità genetica dei musicisti neri su quelli bianchi: «Non geneticamente» risponde con la sua voce roca il grande trombettista, «Ma suonano diversamente. I musicisti Bianchi sembrano rimanere indietro rispetto al ritmo [al battere del tempo, letteralmente]». Il blues starebbe tutto nel brivido dell’anticipo.
Lo scorrere del tempo è insito nell’esperienza di LAVINIA, che si svolge in un parco, all’aria aperta: il ciclo quotidiano del sole e quello delle stagioni, il sole di agosto, le erbe spontanee che crescono incontrollate in primavera, le piogge. Ogni esperienza di LAVINIA non può prescindere da questi «tempi». L’autunno, nel Mediterraneo occidentale, è il tempo della vendemmia e i giardini sulle sponde del nord e del sud del mare di mezzo, si tingono delle tonalità dell’arancia e del giallo dei limoni. Con la lingua allegorica di Eugenio Montale potremmo dire:
Non c’è un unico tempo: ci sono molti
nastri
che paralleli slittano
spesso in senso contrario e raramente
s’intersecano.
La misurazione del tempo in multipli di 12 e di 60 si deve ai grandi matematici dell’antichità: i Babilonesi. Mentre il nome dei mesi e dei giorni si è evoluto e modificato nelle diverse culture e religioni, per qualche ragione non si è mai modificata la divisione complessa dei Babilonesi. Un orologio che scandisce il giorno sulla base di 10, accoglie il visitatore di LAVINIA. We Could’ve Been Anything That We Wanted to Be [Avremmo potuto essere tutto quello che volevamo essere] è «un’eco contemporanea di un audace tentativo storico di ridefinire e razionalizzare il giorno. Il 5 ottobre 1793 la Repubblica francese, appena costituita, abbandonò il calendario gregoriano, allora ampiamente utilizzato, a favore di un modello completamente nuovo: il calendario repubblicano francese, che divenne il calendario ufficiale della Francia per i successivi tredici anni, portando gli ideali della nuova repubblica direttamente nella vita di ogni cittadino. Mentre l’Ancien Régime veniva stravolto e riorganizzato, anche il tempo stesso veniva smantellato. A pochi chilometri di distanza, dall’altra parte della Manica, la Francia batteva temporaneamente un ritmo moderno diverso, quello del secondo decimale». Così descrive questo lavoro Ruth Ewan, nel testo che accompagnava la prima installazione di quest’opera nel 2011 a Folkestone, una città affacciata sulla Manica, concludendo: «Una metafora del cambiamento, della ristrutturazione e della sfida ai sistemi, sistemi che fanno parte della vita di tutti noi e sono così radicati nella nostra cultura quotidiana che a volte non riusciamo a riconoscerli. Nel corso del tempo, i sistemi si evolvono e continuano quindi a essere messi in discussione, sfidati, riformati e rimodellati dalle generazioni future».
LAVINIA adesso ha una nuova unità di misura, sperando che sia un’unità di dismisura
Ruth Ewan è un’artista con base a Glasgow la cui pratica plurale abbraccia installazioni, scrittura, eventi, ambienti e oggetti. Pur variando nella forma, le sue opere nascono da una ricerca approfondita e dalla collaborazione, spesso modellate attraverso il dialogo con altre persone. È particolarmente interessata alla creatività come strumento di giustizia sociale e ambientale, ai sistemi di conoscenza alternativi e a come le nostre relazioni con piante, animali e tempo plasmino i racconti culturali.Da oltre due decenni torna a questi temi, creando progetti che invitano il pubblico a ripensare la storia, il tempo standard e la memoria collettiva.
Ha esposto ampiamente in istituzioni quali Tate Britain, Camden Arts Centre, New Museum, CAPC Bordeaux, Kunsthal Charlottenborg e Biennale di San Paolo, e ha realizzato progetti pubblici con Artangel, la High Line e la Folkestone Triennial. Tra le commissioni attuali figurano Everything Must Change (un sistema temporale alternativo permanente a Göteborg) e The Green Fuse (una foresta urbana e calendario arboreo per Stoccarda).
Le sue pubblicazioni includono Twenty-Nine Thousand Nights e Liberties of the Savoy (Book Works). Ha inoltre tenuto numerose conferenze, condotto workshop in contesti educativi e comunitari, e le sue opere fanno parte di importanti collezioni, tra cui Tate, il Parlamento scozzese e il Museum of Modern Art di Varsavia.
Al centro della Loggia si trova un sarcofago aperto. È decorato con un fregio che presenta calchi ripetuti nel tempo di parti del corpo dell’artista: mani, gambe, piedi, braccia, teste. Quasi mimando fregi e sarcofagi della storia delle civiltà, questo autoritratto in pezzi non è solo fatto in vita – a differenza per esempio delle maschere mortuarie antiche – ma cristallizza il tempo che scorre, il corpo che cambia. Lili Reynaud-Dewar usa il proprio corpo come unità di misura, gioca con il tempo, con la storia dell’arte, con il contest della Loggia dei vini e degli infiniti fregi che si incontrano tra le strade e nei musei di Roma (come ovviamente nella collezione Borghese).Per l’inaugurazione, come nelle feste per cui la Loggia fu progettata, il sarcofago diventa un contenitore di ghiaccio e bottiglie di vino, per celebrare i corpi danzanti.
I tuoi piedi han ballato frenetici nell’ira,
Parigi; ti han trafitta con mille coltellate!
Sei caduta, ma avevi nelle pupille chiare
Un po’ della bontà della fulva rinascita,
Arthur Rimbaud, L’orgia parigina ovvero Parigi si
ripopola, maggio 1871. Traduzione di Ives Margoni,
Feltrinelli 1964.
Lili Reynaud-Dewar è un’artista francese la cui pratica attinge alla propria vita, a quella dei suoi amici, al proprio corpo e alla letteratura. Lavorando tra film, installazione, scultura e stampa, sviluppa un corpus eterogeneo che intreccia personale e politico. Dopo aver studiato danza classica e diritto pubblico negli anni ’90, ha conseguito un MFA alla Glasgow School of Art (2001–2003).
Nel 2009 ha co-fondato Petunia, una rivista femminista di arte e intrattenimento. Dal 2012 è docente alla Haute École d’Art et de Design di Ginevra, dove ha collaborato con gli studenti per formare collettivi e realizzare film, mostre e seminari.
Nel 2021 Reynaud-Dewar ha ricevuto il Premio Marcel Duchamp per la sua installazione filmica Rome, November 1st and 2nd 1975, in cui oltre venti tra amici, collaboratori e studenti re-interpretano le ultime ore di vita del poeta e cineasta Pier Paolo Pasolini. Tra il 2020 e il 2023 ha realizzato un adattamento filmico di 19 ore del romanzo incompiuto di Pasolini Petrolio. Attualmente sta lavorando alla sua autobiografia.